Una filosofia alimentare nuova
Se nei programmi scolastici il Futurismo rileva soprattutto come movimento artistico (primo ‘900), in realtà ebbe anche altre espressioni, come la Cucina Futurista. Una filosofia alimentare nuova che traduceva i criteri fondanti del Movimento – come: modernità, velocità, ardimento e altri – nel campo dell’alimentazione quotidiana. Una corrente di pensiero che nel suo “Manifesto” (1909) esaltava “il pugno, lo schiaffo e il salto mortale” esigeva di esprimersi anche a tavola.
Senza approfondire troppo quadro storico e cause del Futurismo (bastino i progressi tecnologici e i venti di guerra del periodo), divertiamoci con alcune chicche. Di certo, i tentativi di rottura del passato aprirono le porte a nuove contaminazioni, al superamento di schemi classici e a una continua creatività. Siamo sicuri che senza la Cucina Futurista avremmo avuto lo stesso i fast food? Luoghi frenetici di assemblaggio di cibi sfornati in serie per mangiare meccanicamente nel più breve tempo possibile?
E ancora, l’apertura odierna alle alghe e agli insetti pare quasi una conseguenza dell’avversione alla pastasciutta, quale piatto borghese che rammollisce il popolo. Le alghe marine, considerate come ingrediente principale, furono anticipate da Marinetti e Fillia nella “formula” (cioè “ricetta”) dell’“Algospuma tirrenica” guarnita di coralli.
Abbinamenti, nomi, provocazioni: la suggestione di un secolo fa
Rotta la rigidità della tradizione, artisti, pittori e letterati si cimentano con lo stravolgimento della tavola. Il “Carneplastico” è il nome più noto rimasto nella memoria di quei menù. Si tratta di: “Una grande polpetta verticale, che trova nelle undici verdure un’interpretazione sintetica degli orti, dei giardini, e dei pascoli d’Italia”. Come recita il menù del ricevimento che seguì l’inaugurazione della mostra di aeropittura di Bologna nel 1931.
Per chi segue i contest tv di cucina, tipo “Master Chef Italia”, vedere i cuochi abbinare tanti ingredienti diversi insieme è normale. La ricerca dello stupore, dell’uscire dai gusti consolidati è diventato spettacolo. Ma il precursore di questa categoria di chef sperimentatori è senz’altro Jules Maincave, che aderì al Futurismo nel 1914. Stanco dei “metodi tradizionali delle mescolanze”, si ripropose di “avvicinare elementi oggi separati da prevenzioni senza serio fondamento”. Quindi presentò abbinamenti assolutamente originali: banana e groviera, filetto di montone e salsa di gamberi, noce di vitello e assenzio, aringa e gelatina di fragola.
Quanto sarebbe piaciuta a lui e a tutti i futuristi la cucina molecolare di Ferran Adrià, nella quale la componente chimica la fa da padrona?
Oltre lo stupore, le innovazioni gastronomiche entrate negli usi popolari.
Dall’avversione dei futuristi per coltello e forchetta oggi ci ritroviamo con il successo del “finger food” e dello “street food”. Dai tentativi di stravolgere anche i colori naturali degli alimenti, ai nostri giorni è facile per tutti preparare un risotto blu e una carbonara nera. L’uso di coloranti naturali e artificiali, conservanti, esaltatori di sapidità appare quasi come il risultato dell’azione sovversiva futurista della cucina classica.
Se Marinetti ha perso la battaglia per l’abolizione della pastasciutta ha senz’altro aperto la strada alla Novelle Cuisine. E ancora, a Gualtiero Marchesi con la sua foglia d’oro, a Davide Scabin con la sua creatività, e all’utilizzo di elettrodomestici altamente specializzati per la cucina. Merito più riconoscibile da attribuire a quegli eventi è l’aver promosso il gusto estetico dell’impiattamento. Un pregevole esercizio di stile che ci ricorda come anche l’occhio voglia la sua parte nel valorizzare il gusto del buon mangiare.